La scabbia è un’infestazione contagiosa della pelle causata da un acaro, lo Sarcoptes scabiei var. homini. Si tratta di un parassito molto piccolo, di solito non direttamente visibile, specie-specifico in grado cioè di trasmettersi solamente da uomo a uomo e non da uomo ad animale. Gli animali vengono infestati da altre varietà do acari, responsabili della rogna.
A differenza di altre parassitosi (zecche, pulci), il parassita della scabbia rimane nella pelle dell’uomo dove compie interamente il suo ciclo evolutivo: l’acaro scava una vera e propria galleria sotto l’epidermide, dove vive in genere 30 giorni e la femmina depone circa una quarantina di uova. Le larve attive emergono dopo 3-4 giorni e invadono la cute circostante. Per scavare la galleria l’acaro secerne una sostanza che distrugge la cheratina dell’epidermide. Questo scatena un’intensa infiammazione con la comparsa di un intenso prurito, protuberanze e vesciche.
Nell’ultimo decennio in Italia si è riscontrato un aumento dei casi probabilmente a causa della crescente diffusione dei viaggi in Paesi dove la malattia è più diffusa. I fattori che ne favoriscono la diffusione sono la scarsa igiene e la vita in comunità, per esempio sono stati osservati casi di scabbia nelle case di riposo, nei dormitori e nelle scuole materne.
La scabbia non è bella da vedersi, in quanto la cute appare con i caratteristici cunicoli sulla superficie e estremamente arrossata. Per un occhio non esperto potrebbe essere confusa con una comune irritazione. Il sintomo più comune è il prurito intenso che in genere si manifesta soprattutto di notte (momento in cui gli acari aumentano la loro attività), a volte così fastidioso da impedire il sonno.
La localizzazione dell’infestazione è diversa tra bambino e adulto. Nei bambini, altamente più suscettibili per la pelle più sottile, la scabbia spesso si presenta sotto forma di vescicole e interessa la zona della testa (volto, collo, cuoio capelluto, area retro auricolare) e le piante dei piedi. Negli adulti, invece, l’infestazione si osserva prevalentemente a livello delle pieghe cutanee, come la parte inferiore dei glutei (nella piega dove si congiungono con la parte superiore delle cosce), la zona intorno all’ombelico, le ascelle, i gomiti o la regione genitale maschile e l’areola mammaria femminile.
Oltre ai cunicoli possono esserci lesioni da grattamento e nelle scabbie che perdurano da più tempo possono comparire dei noduli come reazione del sistema immunitario, che concentra lì le sue cellule inspessendo la pelle.
Seppur il grattamento intenso possa portare a superinfezioni della pelle, tutto sommato rimane una patologia banale, per la quale si dispone di farmaci efficaci e facilmente accessibili.
Il medico riconosce la scabbia attraverso un esame clinico obiettivo: osserva bene la pelle per andare a individuare i caratteristici cunicoli che appaiono in un rilievo lineare, di 2-5 mm di lunghezza, presenti prevalentemente a livello degli spazi tra le dita, sui polsi e sul palmo delle mani, sui gomiti, sui piedi e caviglie, sui genitali maschili e sui capezzoli femminili.
Per confermare la diagnosi potrebbe essere necessaria l’analisi al microscopio di piccoli frammenti di tessuto cutaneo prelevato in una zona nella quale si sospetta la presenza del parassita.
Se si sospetta la malattia si raccomanda di rivolgersi al medico e di non applicare alcun prodotto sulla pelle. L’uso improprio di alcuni prodotti, specialmente a base di cortisone, potrebbe determinare un momentaneo miglioramento dei sintomi ma non risolutivo e potrebbe rendere più difficoltosa la diagnosi.
La fonte più comune di trasmissione è il contatto cutaneo diretto e prolungato (dai 15 ai 20 minuti) con un individuo infestato. Esattamente come per i pidocchi, nemmeno questi piccoli parassiti vaganti non sono capaci di saltare da un individuo a un altro e soprattutto non volano.
La trasmissione è quindi conseguente a un contatto diretto da persona a persona e va da sé che sia particolarmente frequente tra le persone che vivono all’interno di una famiglia, negli istituti di lunga degenza, asili nido, caserme, villaggi turistici, dormitori comuni. È quindi relativamente semplice trasmettere la scabbia ai membri della propria famiglia e/o al partner, ma, a differenza di altre malattie sessuali (come la gonorrea o la sifilide) che si trasmettono dopo un breve contatto sessuale, in questo caso è necessario un contatto prolungato, come aver trascorso la notte insieme nello stesso letto.
Il contagio indiretto è raro e può avvenire attraverso il passaggio dell’acaro dalla biancheria o lenzuola se sono stati contaminati da poco.
In genere l’acaro sopravvive fino a 1 o 2 mesi se è a contatto con l’essere umano, mentre lontano dalla cute dell’uomo la sopravvivenza è al massimo di una giornata per l’acaro, di circa 10 giorni per le uova. Quest’ultime muoiono se esposte a una temperatura superiore ai 50°C per 10 minuti.
È possibile che i sintomi non si manifestino pochi giorni dopo il contagio. In genere un individuo si accorge di essere stato infestato da scabbia solo quando inizia ad avvertire un prurito incontrollabile. Se però una persona non è mai stata infestata dall’acaro della scabbia potrebbe mostrare i sintomi parecchio tempo dopo (da 4 a 6 settimane). Questo perché il prurito è di origine allergica per una risposta immunitaria non immediata che la persona sviluppa nei confronti del parassita. Chi invece in passato ha già contratto la scabbia e dopo un certo periodo di tempo va incontro a una nuova infestazione può manifestare i sintomi in tempi rapidi, da uno a 4 giorni dal contagio, in quanto già sensibilizzato.
Attenzione! Una persona è contagiosa anche nel periodo in cui non manifesta ancora i sintomi. Questo aumenta inevitabilmente il rischio di trasmissione dell’infestazione all’interno di una famiglia/partners o di una comunità, perché seppur asintomatici, l’acaro comunque si diffonde.
Se siete arrivati fin qui iniziando a grattarvi almeno una parte del corpo, non siete i soli.
Fortunatamente la terapia è facile ed efficace. Principalmente il trattamento si basa sull’uso di prodotti acaricidi direttamente sulla pelle. Si tratta soprattutto di creme o oli (ad esempio a base di permetrina al 5% o di benzil benzoato) da applicare in genere per 3 sere consecutive con estrema cura, ricoprendo tutto il corpo dal collo sino alla punta delle dita dei piedi, comprese le regioni palmari, plantari e la regione inguinale, con l’eccezione del viso e del cuoio capelluto. In genere il prodotto va lasciato agire in situ per tutta la notte (8-14 ore) e poi rimosso la mattina dopo con acqua. Esattamente come per i pidocchi, la terapia va ripetuta a distanza di una settimana per poter uccidere i neo-acari sfuggiti alla prima applicazione in quanto non ancora schiusi dalle uova, che rischierebbero di innescare una nuova infestazione.
Nei casi più gravi o resistenti alla terapia locale può essere raccomandata una terapia per bocca a base del principio attivo ivermectina.
Intrapresa la terapia è possibile che il prurito non passi immediatamente, anzi anche una volta terminata la cura può persistere, addirittura fino a 15 giorni dopo. Questo perché purtroppo il trattamento uccide l’acaro ma il suo corpo rimane nella pelle e continua a creare una reazione allergica. In questi casi il medico prescriverà un farmaco per il controllo del prurito e/o l’uso di emollienti intensivi. Il motivo potrebbe però anche essere una resistenza del parassita al farmaco, pertanto potrebbe essere utile passare a un acaricida diverso.
Lavarsi adeguatamente e abbondantemente le mani dopo aver applicato o rimosso il trattamento per evitare qualsiasi contatto con gli occhi.
Prima di applicare il trattamento sulla pelle, è necessario NON fare un bagno caldo, perché la dilatazione vascolare che ne consegue favorirebbe l’assorbimento nel circolo sanguigno del farmaco rimuovendolo dalla sede di azione (la pelle) e aumentando contemporaneamente il rischio di effetti collaterali sistemici (oltre al danno, anche la beffa). In generale, si consiglia di NON fare docce frequenti durante l’infestazione perché seppur ci possa far credere di poterli eliminare “lavandoli via” o perché si cerca disperatamente un immediato sollievo dal prurito, in realtà l’uso di detergenti potrebbe ulteriormente seccare la pelle, peggiorando la sensazione di prurito.
Ultimo, ma non banale consiglio: il trattamento a base di permetrina è l’unico raccomandato anche in gravidanza e allattamento.
Sfuggire al contagio non prevede strategie complicate: evitare il contatto diretto con persone infestate è il più importante se non l’unico modo per risparmiarsi una spiacevole situazione accompagnata da un fastidioso e incessante prurito. Seppur possa inevitabilmente subentrare una sorta di “vergogna sociale”, in realtà trattarla non risulta così difficile, seppur possa fare impressione e rendere la qualità della vita un po’ limitata. Se da una parte non bisogna farsene una colpa, dall’altro non curarsene minimamente non può che peggiorare la situazione, sia personale sia del prossimo. Secondo la Circolare n. 4 del 13 marzo 1998: “Misure di profilassi per esigenze di sanità pubblica. Provvedimenti da adottare nei confronti di soggetti affetti da alcune malattie infettive e nei confronti di loro conviventi o contatti”, sono previsti:
- Allontanamento della persona da scuola o dal lavoro fino al giorno successivo a quello di inizio della cura specifica. Per le persone ospedalizzate o istituzionalizzate, è previsto l’isolamento da contatto per 24 ore dall’inizio del trattamento.
- Per evitare che nasca una epidemia, è opportuna una sorveglianza clinica dei contatti diretti e dei conviventi per la ricerca di altri casi di infestazione.
- Per i familiari e per i soggetti che abbiano avuto contatti cutanei prolungati con il caso (familiari, chi abita nello stesso locale e/o partner sessuale) è indicato il trattamento profilattico simultaneo, anche se apparentemente asintomatiche. Inoltre andrebbero trattate le persone a stretto contatto con il nucleo familiare infestato, amici molto stretti, collaboratrici domestiche o compagni di classe dei figli, se frequentano la casa.
- Il rischio di diffusione tramite indumenti, biancheria da letto e asciugamani è basso, ma si raccomanda di lavare lenzuola, coperte e vestiti in lavatrice a temperatura maggiore di 60 °C; i vestiti non lavabili con acqua calda vanno tenuti da parte per una settimana, per evitare reinfestazioni.
- Locali, tappeti e mobili imbottiti utilizzati dalla persona affetta da scabbia devono essere puliti e aspirati dopo l’uso e il sacchetto dell’aspirapolvere immediatamente gettato. Materassi e ambienti domestici vanno disinfettati con strumenti a getto di vapore.
- Gli oggetti che non possono essere lavati ma che sono utilizzati dalla persona infestata devono essere tenuti chiusi in un sacchetto di plastica per un paio di giorni.
Le informazioni contenute in questo articolo sono elaborati sulla rilettura critica di articoli scientifici, testi universitari e basandosi sulla nostra pratica comune, hanno soli scopi informativi e non hanno pertanto valore di prescrizione medica, non devono in alcun modo sostituire il rapporto dottore-paziente; si raccomanda al contrario di chiedere il parere del proprio medico prima di mettere in pratica qualsiasi consiglio od indicazione riportata.
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